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Là dove armonizzando il Ciel ti adombra,
Quando nell’aere aperto ti solvesti?

Compiuta la rappresentazione, ricomincia la processione sino all’albero della vita, dove, antitesi a questa chiesa gloriosa di Cristo, apparisce in visione allegorica la Chiesa terrena, trafitta dall’impero, travagliata dall’eresia, corrotta dal dono di Costantino, smembrata da Maometto, e in ultimo meretrice fra le braccia del Re di Francia. Concetto stupendo, questo apparire della vita terrena nell’ultimo del purgatorio, germogliata dall’albero infausto del peccato di Adamo. Il terreno apparisce quando ci si dilegua per sempre dinanzi, non solo in realtà ma in ricordanza. Siamo già alla soglia del Paradiso.

Così finisce questa processione dantesca, una delle concezioni più grandiose del poema, anzi in sè sola tutto un poema, dove ci vediamo sfilare davanti tutt’i grandi personaggi della Chiesa celeste, immagine anticipata del regno di Dio, un’apoteosi del cristianesimo, entro di cui si rappresenta il più alto mistero liturgico, la commedia dell’anima.

Questa processione dovè far molta impressione in quei tempi delle processioni, de’ misteri e delle allegorie, quando gli angeli, le virtù e i vizii, e Cristo e Dio stesso entravano in iscena. Ma è appunto questo carattere liturgico e simbolico, che qui scema in gran parte la bellezza della poesia. Questo difetto nuoce soprattutto nella rappresentazione della chiesa terrena, dove l’aquila, la volpe e il drago e il gigante e la meretrice rimpiccoliscono un concetto così magnifico, una storia così interessante.

Lo stesso contrasto si affaccia a Dante, quando il me appare nella Città di Dio, di santo Agostino, e ne man-