Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/249

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un di là, ciò che dicesi il sentimento dell’infinito, la cui esistenza si rivela più chiaramente alle nature elevate.

L’arte antica avea materializzato questo di là, umanando il cielo; e la filosofia partendo dalle più diverse direzioni era giunta a questa conclusione pratica, che l’ideale della saggezza e perciò della felicità è posto nella eguaglianza dell’anima, ciò che dicevasi apatia, affrancamento dalle passioni e dalla carne: pagana tranquillità che vedi nelle figure quiete e serene e semplici dell’arte greca.

Questa calma filosofica trovi nelle figure eroiche del limbo:

Parlavan rado con passi soavi:
Sembianza avean nè trista nè lieta.

Virgilio n’è il tipo più puro, le cui impressioni vanno di rado al di là di un sospiro, o di un movimento tosto represso. Questa calma è la fisonomia del purgatorio, il carattere più spiccato di quelle anime, dove l’aspirazione al cielo è senza inquietudine, sicuro di salirvi quandochessia. Ma già in quelle anime penetra un elemento nuovo, l’estasi, il rapimento, la contemplazione; ci sta Catone, ma irradiato di luce.

Col cristianesimo s’era restaurato nello spirito questo inquieto di là, e divenne in breve molta parte della vita, anzi la principale occupazione della vita. E si sviluppò un’arte e una letteratura conforme. Chi vede gli ammirabili mosaici del paradiso sotto le cupole di San Marco e di San Giovanni Laterano, o le facce estatiche de’ Santi consumati dal fervore divino ha innanzi stampato il tipo di questo uomo nuovo. Quel di là, il celeste, il divino, appare su quelle facce, come appare nella Città di Dio di santo Agostino e nella Dieta salutis di san Bonaventura. A questa immagine avea composta