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e ti tiene in una dolce malinconia; non sei nel regno dei misteri e delle ombre, nel regno musicale del sentimento; sei nel regno dell’immaginazione. Venere è nuda; Iside ha alzato il velo. Non hai più gli schizzi di Dante, hai i quadri del Boccaccio; non hai più la faccia di Giotto, hai la figura del Perugino; non hai più il terzetto nel suo raccoglimento, hai l’ottava rima nella sua espansione. Ci è quel sentimento idillico e sensuale che ispirò il Boccaccio, e di cui senti la fragranza nella Lepidina e nel Rusticus: l’anima sta come rilassata in dolce riposo, non fantasticando ma figurando parte a parte e disegnando, quasi voglia assaporare goccia a goccia i suoi piaceri. E non è la descrizione minuta, anatomica, spesso ottusa, del Boccaccio; che mentre la natura ti si offre distinta come un bel paesaggio, non sai onde o come ti giungono mormorii, concenti, note, come la voce di una divinità nascosta nel suo grembo. La sensualità filtrata fra tanta dolcezza di note lascia in fondo la sua parte grossolana ed esce fuori purificata; e non è la musa civettuola del Boccaccio, è la casta Musa del Parnaso, che copre la sua nudità e vi gitta sopra il suo manto verginale. Nel Boccaccio è la carne che accende l’immaginazione; nel Poliziano l’immaginazione è come un crogiuolo, dove l’oro si affina. La sensuale e volgare Griseide si spoglia in quel crogiuolo la sua parte terrea, e diviene la gentile Simonetta, bellezza nuda, sviluppata da ogni velo allegorico dantesco e petrarchesco, a contorni precisi e finiti, pur divina nella sua realtà:
Nell’atto regalmente è mansueta,
E pur col ciglio le tempeste acqueta.
Tra il poeta e il suo mondo non ci è comunione diretta; ci stanno di mezzo Virgilio, Teocrito, Orazio, Stazio, Ovidio, che gli prestano le loro immagini e i loro colori. Ma egli ha un gusto così fine e un sentimento della forma