Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/266

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E finisce con questa esortazione:

Lasciate le ombre, ed abbracciate il vero,
Non cangiate il presente col futuro.
Voi siete il veltro che nel rio trabocca,
Mentre l’ombra desia di quel che ha in bocca.
Avviso non fu mai di saggio e scaltro,
Perdere un ben per acquistarne un altro.
A che cercate sì lunge diviso,
Se in voi stessi trovate il paradiso?

L’ozio e l’ignoranza sono i caratteri della vita ascetica e monacale, della quale Bruno aveva avuto esperienza. «La libertà, fa egli dire a Giove, quando sia oziosa, sarà frustatoria e vana, come indarno è l’occhio che non vede, e mano che non prende. Nell’età dell’oro per l’ozio gli uomini non erano più virtuosi, che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che molte di queste.» Bruno rigetta quella vita oziosa, che fu detta aurea, e ch’egli chiama scempia, fondata sulla passività dell’intelletto e della volontà, e non può parlarne senz’aria di beffa. Il soprannaturale è incalzato ne’ suoi princìpii e nelle sue conseguenze.

Secondo la morale di Bruno il lume naturale viene destato nell’anima dall’amore del divino, o dal principio formale aderente alla materia, e per il quale la materia è bella. Amare la materia in quanto materia è cosa bestiale e volgare, e Bruno se la prende col Petrarca e i petrarchisti lodatori di donne per ozio e per pompa d’ingegno, a quel modo che altri han parlato delle lodi della mosca, dello scarafone, dell’asino, di Sileno, di Priapo, scimmie de’ quali son coloro che han poetato a’ nostri tempi, dic’egli, delle lodi della piva, della fava, del letto, delle bugie, del forno, del martello, della carestia, della peste. Obbietto dell’amore eroico è il divino, o il formale; la bellezza divina prima si comunica alle anime,