Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/66

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His quoque candelam tam grandem, tamque pesantem
Vult offerre simul, quam grandis quamque pesantus
Est arbor navis, prigolo si scampet ab isto.
Se stessum accusat multas robasse botegas,
Sgardinasse casas et sgallinasse polaros.
At si de tanto travaio vadat adessum
Liber speditus, vult esse Macarius alter,
Alter eremita Paulus, spondetque Sepulchri
Post visitamentum, vitam menare tapinam.
Talia dum Cingar trepido sub pectore pensat,
Et ruptae sublimis aquae montagna ruinat,
Quae superans gabbiam, strepitosa trapassat,
Nec pocas secum portavit in aequora gentes.

La stessa ricchezza di particolari trovi nella descrizione de’ venti, e nelle vicende della tempesta. Ci hai il carattere dello stile di Merlino, un realismo animato da una immaginazione impressionabile e da un umorismo inestinguibile. Non ha tutto la stessa perfezione: ci è di molta ciarpa, la facilità è talora negligenza; desideri l’ultima mano, desideri la serietà artistica dell’Ariosto.

Questo realismo rapido, nutrito di fatti, sobrio di colori, fa di Merlino lo scrittore più vicino alla maniera di Dante, salvo che Dante spesso ti fa degli schizzi, ed egli disegna e compie tutto il fatto. Il suo continuatore e imitatore è fuori d’Italia, è Rabelais, che ha la stessa maniera. In Italia prevalse la rettorica, la cui prima regola è l’orrore del particolare e la vaga generalità. Merlino al contrario aborre le perifrasi, i concetti, le astrazioni e quel colorire a vuoto per via di figure e d’immagini, e non pare che lavori con la riflessione o con l’immaginazione, ma che stia lì tutto attirato in mezzo a un mondo che si muove guardato e parodiato ne’ suoi minimi movimenti. Baldovina e Guido giungono affamati in casa di Berta, e cucinano essi medesimi il pasto. Al poeta non fugge nulla, i cibi, il modo di apparecchiarli, il desco,