Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/160

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Egli è però uu fatto, che, vuoi per la generosità dell’atto di amnistia, che a molti Romagnoli schiudendo le porte dei domestici focolari li restituiva alle delizie della patria, e della famiglia, vuoi per le speranze di leggi più miti, o di più liberi ordinamenti, vuoi infine perchè così era l’andazzo delle cose in quel tempo, avevan deposto se non tutti, almeno una grandissima parte dei Romagnoli, gli accenti del livore, e le armi della vendetta, riducendosi e ritemprandosi a più mansueta natura.

8e non che esisteva pur troppo una fazione più ardente, che mal sofferendo di riconoscere sotto l’aspetto di grazia ciò che riteneva essere atto di giustizia, qualificava di codardo timore la umanità, e la clemenza.

Essa guastò tutto. Furono i suoi seguaci il flagello di loro stessi e degli altri. Attossicarono essi soli le sorgenti del bene, distornarono i più miti dalla adottata sottomissione, proverbiarono, e vituperarono come vili quelli che accontentavansi di materiali miglioramenti, e come fanciulli inesperti quei che tenevan lor dietro. Respinsero sconoscenti il bacio dell’amore, e rinfocolaron più ardenti le ire, e le vendette sanguinose, è crudeli.

Non altro per essi vedevasi che l’unione, e la indipendenza d’Italia dal giogo dell’Austria. Indegno di reggere di una parte dell’Italia l’impero, chi non avesse in cima de’ suoi pensieri uno scopo sì sacrosanto.

Poco ad essi caleva e di riforme di codici, e di strade ferrate, e di migliorate finanze, se non si raggiungeva questo scopo. Questo, questo solo, avevan fitto nel capo, e come nemico d’Italia consideravano chi con essi non divideva cosiffatta opinione.

Ciò per altro non potersi sperare dal papa, dicevano. Che se egli, a patto di farsi capo (in apparenza e servo in sostanza) della rivoluzione, tale si fosse appalesato, a questo sol patto doversi tollerare. Se no, doverlo sbalzare dal seggio, governasse pure come Tito o Marco Aurelio.

Capo o simbolo di questa fìrazione non grande, ma au-