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dace e coraggiosa, alla quale sembra che aderissero gli uomini d’idee repubblicane, come un avvocato Gabussi bolognese, ed un Lizabe Ruffoni di Ferrara, che fu poi segretario di Mazzini, può considerarsi quel Giuseppe Ricciardi, di cui abbiam parlato di sopra, il quale, al vedere che Pio IX esitava ad impugnare animoso il brando contro r Austria, come avrebbe voluto, prorompeva nei seguenti accenti che ritraono al vivo a quale patto soltanto avrebbe tollerato sul capo di Pio IX la tiara del pontefice, e nella sua mano lo scettro del regnante. Essi furon dettati in Parigi il 17 febbraio del 1847, cioè sette mesi dopo l’atto dell’amnistia.


Sonetto


Padre comun, dei popoli pastore,
Folgore all’empio, e usbergo all’innocente
Ti gridi al mondo, e al grido ingannatore
Crede il volgo, e s’inchina umilmente.
Non io, che muto veggoti al dolore,
Muto allo strazio di famosa gente,
Dove romper la verga all’oppressore
Dovresti nelle man sanguinolente!
Dunque l’antico scellerato patto,
Cui Roma stringe e la regal genia.
Tu pur vuoi salvo e applaudi al gran misfatto?
E te chiamerà santo Italia mia?
Ah solo a chi dei popoli al riscatto
Surga, il nome di santo Italia dia!


Del resto, siccome però i più eran contenti, e siccome da per tutto eran manifestazioni di gioia e di allegria, ovunque eransi celebrate feste, e tripudi e accademie, e sonetti e opuscoli eransi pubblicati, e tutti allusivi alle

  1. Estratto da un opuscolo stampato a Losanna intitolato Cracovia, Carmi di Gabriele Rossetti, Pepoli, Nardini, Ricciardi 1847 in-12.; vedilo nel vol. III, delle nostre Miscellanee, n. 10.