Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. II).djvu/272

Da Wikisource.
266 storia

che demmo a’ rappresentanti di estere nazioni, e persino le più calde esortazioni a que’ militi stessi, che a noi vollero presentarsi prima della loro sortita. Nessuno ignora le parole da noi pronunziate nell1 ultima allocuzione, cioè che noi siamo alieni dal dichiarare una guerra, ma nel tempo smesso ci protestiamo incapaci d’infrenare l’ardore di quella parte di sudditi che è animata dallo stesso spirito di nazionalità degli altri Italiani. E qui non vogliamo tacervi di non aver dimenticato anche in. tal circostanza le cure di padre e sovrano provvedendo, ne’ modi che reputammo più efficaci, alla maggiore incolumità possibile di que’ figli e sudditi che già si trovano senza nostro volere esposti alle vicende della guerra. Le nostre parole di sopra accennate hanno destato una commozione che minaccia d’irrompere ad atti violenti, e non rispettando nemmen le persone, calpestando ogni diritto, tenta (o gran Dio, ci si gela il cuore nel pronunziarlo!) di tingere le vie della capitale del mondo cattolico col sangue di venerande persone, designate vittime innocenti per saziare le volontà sfrenate di chi non vuol ragionare. E sarà questo il compenso che si attendeva un pontefice sovrano ai moltiplicati tratti dell’amor suo verso il popolo? Popule meus quid feci tibi? Non si avveggono questi infelici, che oltre l’enorme eccesso del quale si macchierebbero, e lo scandalo incalcolabile che darebbero a tutto il mondo, non farebbero che oltraggiare la causa che pretendono di trattare, riempiendo Roma, lo stato, e l’Italia tutta di una serie infinita di mali? E in questo, o simili casi (che Dio tenga lontani) potrebbe mai rimanere ozioso nelle nostre mani il potere spirituale che Dio ci ha dato? Conoscano tutti una volta che noi sentiamo la grandezza della nostra dignità e la forza del nostro potere.

» Salvate, o Signore, la vostra Roma da tanti mali, illuminate coloro che non vogliono ascoltare la voce del