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facilità) sperava di conseguirla in vece colla sola parola di pace pronunciata ad eliminazione dell’elemento eterogeneo in Italia ch’è l’Austria. Egli è chiaro inoltre che il papa, professando rispetto pei diritti altrui, amava di vedere rispettati i propri. E lo stesso aver diretto una lettera amichevole all’imperatore d’Austria per pregarlo di contentare finalmente gl’italiani, a preservazione di pace, prova che riconosceva questi diritti, perchè chi prega fa atto di riconoscere e rispettare altrui nel tempo stesso.

Da che inferiremo che sommessi tutti ai voleri della Provvidenza nelle cui mani sono i destini delle umane cose, e ignari dell’avvenire che è riservato alla Italia, ove per variar di eventi, ciò che nel 1848 era un’aspirazione venisse a compiersi un giorno, sempre dovrem convenire che la prima scintilla della indipendenza e nazionalità italiana venne da Roma, e che il vero iniziatore e promotore di questo tanto desiderato avvenimento fu Pio IX coll’atto di sopra memorato. Andar dovrebbe pertanto debitrice l’Italia di un tanto bene al papato, ch’è stato sempre il vindice e il protettore degl’italiani.

Mentre per le cose narrate trovavasi l’Europa nel mese di maggio 1848 in uno stato di conturbamento che non ti lasciava travedere da qual parte potesse rifulgere un raggio di luce ristoratore dell’ordine; mentre in Roma esterrefatta tuttora dall’allocuzione del 29 di aprile, trovavansi gli spiriti in quello stato che non è nè vita nè morte, ma sbigottimento e incertezza; mentre in fine il Santo Padre disgustato dalle perturbazioni demagogiche dei giorni passati, tene vasi quasi rinchiuso nel Quirinale, si aggiunse altra causa di tristezza e di sgomento per gli abitanti di Roma, e fu questa.

I volontari romani sconfitti a Cornuda, come accennammo di sopra, e datisi in preda alla insubordinazione militare fuggivano disordinatamente, venendo a raggiungere i domestici focolari.