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al pericolo sotto le mura di Roma, a ciò moveaci desiderio di difendere dallo straniero una città italiana e non di farci giannizzeri di una fazione. I Mazziniani com’è giusto, ci gratificavano del titolo di corpo aristocratico, e tal epiteto in bocca di certi eroi da caffè era per lo meno un elogio al nostro carattere.

» Noi impiegammo parecchi giorni nel penoso tragitto. I vapori erano l’uno della forza di 80 cavalli, o aveva quattrocento uomini a bordo, l’altro della forza di 30 e ne portava duecento. Si progrediva pertanto colla più grande lentezza; il mare era grosso e ci costrinse a fermarci a Porto Venere nel golfo di Spezia e a Porto Longone nell’isola d’Elba. I soldati stivati e senza poter muoversi soffrivano assai. Quando Dio volle, il 26 aprile noi entrammo in porto a Civitavecchia.

» Quattordici fregate francesi stavano schierate davanti ad esso. Mentre noi facevamo ingresso da una delle imboccature, la prima fregata francese entrava dall’altra. Civitavecchia impaurita a tanto apparato di forze, ed ignara d’altronde dei disegni di quella spedizione, non ardiva nè poteva resistere. I Francesi cominciarono subito la lunga operazione dello sbarco. Un commissario romano si recò a bordo e ci dichiarò presi al servizio di quel governo. Mio fratello venne più volte spedito a terra a domandare al generale Oudinot il permesso di sbarcare. Fu accolto con molta alterigia ed intimatogli di significare a chi lo mandava che noi avessimo immediatamente a tornare addietro. Manara stesso non potè sul principio ottener nulla. Voi siete Lombardi, gli disse aspramente il Generale, che c’entrate dunque negli affari di Roma?E voi, signor Generale, rispose senza sconcertersi Manara, siete di Parigi, di Lione o di Bordeaux?»

» I nostri soldati, all’udirsi respinti, proruppero in uno stato d’esasperazione indescrivibile. Agitavano furibondamente i fucili, minacciavano di gettarsi a nuoto; ad ogni patto su quei battelli, dove avevano tanto sofferto, non