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Il Mazzini inoltre, a parte la rivoluzione francese che aspettava dall’occidente, contava in oriente sui prodi Ungaresi, e ragion vuole che fosse in intelligenze seguite coi capi di quella insurrezione. Ed agli Ungaresi difatti rivolgendosi l’assemblea romana da lui guidata, indirizzava le seguenti parole il giorno 8 maggio:

«Ungheresi!

» Perseverate! combattete! vincete sterminate codesti tiranni dei popoli! La bandiera della libertà non si vede sventolare in Europa fuorchè tra le file della vostra formidabile armata, e sulla vetta del Campidoglio.»

Quindi aggiungeva:

«Fratelli d’Ungheria! forse in questo momento la feroce famiglia d’Asburgo fugge dinanzi alle vostre baionette. Che se pur foste vinti, e seppur anche la nostra repubblica dovesse cader combattendo sotto la forza brutale di tanti oppressori, e che per ciò? Cesseremo forse d’esser fratelli? No. Le ruine delle vostre città e le ruine di Roma accumulate sulle antiche sarebbero l’altare del nostro patto, e lascerebbero tale un ricordo ai popoli di Europa che non andrebbe perduto.»1

E mentre agli Ungheresi dirigevansi parole di simpatia, di conforti, e di speranze, alle potenze cattoliche inviavasi invece una nota dal ministro degli affari esteri Rusconi, la quale portava l’impronta dei risentimento e delle minacce.

Essa chiudevasi così:

«L’Europa vi badi prima di perseverare in questa feroce lotta. La religione vi rovina ed è del manto della religione ch’essa si addobba. Libero è questo popolo, santa è questa Repubblica che esso ha inaugurata; Dio la benedisse d’una prima vittoria, e distrutta esser non po-

  1. Vedi la Speranza dsll’epoca, n. 101, del 16 maggio.