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Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/437

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n e l l e   v a r i e   f i g u r e , e c. 327

Proserpina su due simili monete di Siracusa. Potrei addurne moltissimi altri esempj sì di monete che di gemme.

§. 26. Nelle figure delle divinità non s’incontra mai un’idea bassa e volgare. Si osserva altresì che ad ognuna di esse hanno i greci artisti date sembianze particolari e costanti, di maniera che direbbesi esser ciò loro stato da una legge prescritto. Il Giove sulle monete jonie o doriche è a quello delle monete siciliane perfettamente simile. Le teste di Apollo, di Mercurio, di Bacco, di un Liber Pater, e sì del giovane che del vecchio Ercole hanno le stessissime sembianze sulle monete, e sulle gemme, come sulle statue. Sappiamo diffatti, che agli artefici serviano di norma e quasi d’un modello legale le più belle figure degli dei foggiate dai più grandi maestri, ai quali credeasi che le divinità medesime mostrate si fossero, perchè più simile all’originale, e più bella riuscisse l’immagin loro. Così vantavasi Parrasio che Ercole fosse a lui comparso in quelle sembianze appunto in cui egli avealo dipinto; e probabilmente ciò ebbe di mira Quintiliano1, quando disse, che la mano di Fidia sembrava accrescere un non so che di venerazione alla statua di Giove da lui scolpita2. La più sublime bellezza però, come dice Cotta presso Cicerone3, non è stata data in egual grado a tutti gli dei: né ciò esser poteva, come non possono dipingersi in un buon quadro molte figure, tutte della più eccellente avvenenza; né possono tutti gli attori d’una buona tragedia figurare da grandi eroi.


Ca-


  1. Cujus pulchritudo adjecisse aliquid etiam receptæ religioni videtur. Quintil. Inst. lib. 12. cap. 10. pag. 894. in fine.
  2. Leonide nell’Anthol. lib. 1. c. 12. n. 59. diceva di Prassitele, che avea fatto Amore in Tespi quale lo aveva veduto presso la meretrice Frine; e n. 65. Parmenione diceva lo stesso della Giunone fatta da Policleto, che fatta l’avesse nelle forme vedute in quella dea. Era quello un modo d’encomiare un’opera al più possibile, dicendo che corrispondeva al carattere, e dignità dell’originale.
  3. De Nat. Deor. lib. 1. cap. 29.