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di   W i n k e l m a n n. 231


A r t i c o l o   IX.


Notizie su d’altre antichità, di rilievo d’Ercolano.


Monsignor Ottavio Bayardi nel suo catalogo dato nel celebre Prodromo, fra infiniti altri traviamenti entra nella spiegazione d’un basso rilievo espresso in un vaso d’argento1. „ Un vaso, dic’egli, a guisa di mortaro ........ Vi si vede a basso rilievo un’apoteosi..... Evvi Cesare velato ......... trasportato in aria da un’aquila. A mano destra evvi una Roma piangente, a mano manca un soldato barbaro, ec.„. Non può esser Giulio Cesare per cagione della barba, e la testa non ha veruna rassomiglianza con Cesare. Vi hanno più manifesti indizj per asserirla un’apoteosi d’Omero2. La figura battezzata per una Roma piangente è col parazonio, o sia spada corta al fianco, che tiene impugnato colla mano, e rappresenta quindi l’Iliade; siccome l’aria sua piena di mestizia, o di gran pensieri, va denotando questa parte tragica d’Omero in quella maniera, che l’Odissea era stimata dagli antichi del genere comico, secondo Aristotele nella Poetica3. Il preteso soldato barbaro è Ulisse col re-


mo,


  1. Vasi, e Patere, n. 540.
  2. Per la fisonomia, supponendolo Omero, non farà maraviglia, se non è come quella delle teste in marmo credute di lui; quattro delle quali si conservano nel museo Capitolino, e due delle più belle ne dà Bottari nel Tomo I. di esso, Tav. 54.. 55.; una è nella villa Albani, ed altre molte altrove. Ritratto vero di quello poeta neppur lo aveano gli antichi; se non che nell’ideale, che se ne formarono, pare che a un di presso tutti convenissero. Bottari al luogo citato si sforza di provare, che il più generalmente ricevuto nei marmi, e nelle medaglie avesse la barba piuttosto corta. Si ha nelle medaglie de’ Nicei, de’ Chii, e Smirnei, come nota lo stesso Bottari, e Fabricio Bibl. gr&ca, Tom. I. lib. 2. cap. 1. pag. 257., e in quelle di Amastria nella Paflagonia, una delle quali ne ho veduta nel prezioso museo Borgiano a Velletri. Furono alzate anche delle statue, e de’ tempj a questo principe de’ poeti, come fanno osservare gli stessi scrittori. Secondo Erodoto nella di lui vita, ristampata dal Reinoldo, ed altri, restò cieco in sua gioventù. Ma se fu cieco, seppe descrivere così bene tutte le cose, che racconta, e quali dipingercele meglio di uno, che le avesse vedute; del che abbiamo il giudizio di Cicerone, che conferma ciò, che si è detto nel Tomo I. pag. 57.: Traditum est etiam, Homerum cæcum fuisse. At ejus picturam, non poesin, videmus. Quæ regio, quæ ora, qui locus Græcæ, quæ species formæ, quæ pugna, quæ acies, quod remigium, qui motus hominum, qui ferarum, non ita expictus est, ut quæ non viderit, nos ut videremus, effecerit? Tuscol. quæst. lib. 5. cap. 39., al quale si unisce Longino De subl. sect. 10. pag. 85.
  3. Aristotele in quest’opera, cap. 4. oper.