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sommità tante statue d’uomini, e di cavalli, delle quali parla Procopio[1], che essendo delle maggiori non doveano stare nell’ordine superiore assai più piccolo; ma nell’altro più grande, ove erano anche più a portata di esser gettate addosso ai nemici? E di questo guasto di un monumento sì bello, e magnifico, che del resto tanto loda, e ammira, perchè Procopio non avrebbe dovuto darne qualche cenno, come parla delle statue, e dell’esser tutto di marmo pario? Sarebbe mai probabile il dire, che le colonne più grandi abbiano servito al mentovato gran portico, che dalla Mole giugneva fino alla basilica Vaticana, restaurato, e ampliato di molto dal Pontefice s. Adriano I.[2]; o che siano state impiegate nella stessa basilica Vaticana?
Quegli, che in seguito rese quali inespugnabile il Mausoleo con nuove fortificazioni, fu Crescenzio, di cui pocanzi narrammo la storia[3]; e da lui prese il nome di Torre, e di Castello di Crescenzio, che ritenne per tanti secoli promiscuamente a quello di Carcere, e Casa di Teodorico, che trovo datogli anche nel principio del secolo XV.[4]. L’imperatore Ottone III. allorché volle cacciarne Crescenzio, lo circondò tutto intorno con macchine altissime di abeti, e tanto lo battè, che rotta la porta vi entrò dentro, come scrive Rodolfo Glabro[5]; in maniera, che può credersi avervi fatto non poco danno. Aggiugne questo autore, che per l’altezza sua chiamavasi Torre fra i cieli, Turris inter cœlos; s. Pietro Damiano[6], Monte di s. Angelo, Mons sancti Angeli; e Luitprando, che scrisse poco prima di Ottone, lo dice[7] di un lavoro, e di un artifizio maraviglioso; e che nella sommità v’era una chiesa dedicata all’arcangelo s. Michele, detta
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