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la città in nome del re, come la carica di Vicedomino era immediatamente subalterna dell’Arcivescovo, e il nome di queste dignità fu poi origine del cognome che ne prese la famiglia Visconti. I cognomi non ritornarono in uso se non verso la fine del secolo undecimo. Le leggi poi sotto le quali si viveva in que’ tempi, erano quali lo potevano permettere i tempi stessi. Si credeva che bastasse l’ordinare una cosa per vederla eseguita. Negli anni di carestia la legge comandava che non si vendessero i generi troppo cari. Si fissavano limiti a quei che negoziavano fuori dello Stato. Si proibiva l’esportazione delle armi agli esteri. In somma tutto si credeva di poter fare con leggi vincolanti; o almeno si credeva il legislatore d’avere bastantemente eseguito il dovere della sacra e terribile sua carica, comandando agli uomini d’essere felici, in vece di ascendere alle cagioni, e impedire che i mali nascessero. È da notarsi che le leggi stesse molto si estendevano contro coloro che col mezzo della magia devastavano colla grandine le messi, e si ordinava all’arciprete della diocesi il modo di costringerli a confessare il supposto delitto, onde punirli1; e questo ci basta per conoscere lo stato de’ nostri antenati in que’ miseri tempi. L’ignoranza, la ferocia, l’infelicità, torno a ripeterlo, sono compagne indivisibili in un popolo corrotto; i lumi, l’urbanità, la felicità pubblica caramente si abbracciano2.


  1. Il conte Giulini, tomo I, pag. 72.
  2. Sembra questo in contraddizione con quanto s’è asserito; cioè che quando il genere umano fu più tormentato, gl’ingegni si sono riscossi, e ne è nata la coltura e la felicità. Ma l’apparente contraddizione scompare considerando che l’ignoranza produce la ferocia e l’infelicità, e queste giunte a un