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Pagina:Su la pena dei dissipatori.djvu/15

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292 r. serra


Gesù che spavent! E no podea cridar, e no podea scampar, perché avea lagne [cura] de le armente e una era malada che se la butea zò la morìa.

Note dopo, a mezanot, drio Serva, se sentia omeniche zighèa, vose alte de condanàdi».

Ma la cazza salvarega «non è che una pallida imagine di quella che nel Feltrino si dice la cazza di Prenòt, il cui ricordo fa allibire di spavento ogni buon contadino, che l’abbia veduta. Si dice pure cazza beatric, e questo crederei a motivo che tal nome si dà ad un enorme bracco tutto nero, il quale sembra appunto il caporione della ‘caccia del diavolo’. Pare che questa rabbiosa compagnia di cani, entro a cui sono nascosti spiriti umani, non si accontenti della selvaggina che può predare, ma faccia più lauto banchetto di fumanti viscere umane». Ecco un aneddoto. «Era na compagnia de brachi neri che venìa dò dal monte con an toc de carne in boca. An om ghe ride sora e el dis: «Dème a mi quela carne che la mete in tècia». I can lassa la carne, ma co l’on l’à tolta su, el vede che l’era un quarto de crestian tuto ensanguinà». Dietro consiglio del prete, aspetta i cani con un gatto nero in braccio [...] «e i can, che in prima no i la volea, i se la tolesta, per via che i à vist el gat moro, che, com se sà, l’è rals del diaol».

Queste le versioni italiane che io ho potuto raccogliere della caccia selvaggia1: su le quali non farò altra osservazione se non che, probabilmente, la leggenda attuale riproduce senza mutazioni la leggenda di più secoli a dietro.

Nella rude anima di quei montanari vivono ancora in gran parte le età passate: essi parlano del concilio di Trento come d’un fatto recente; e ricordi storici vecchi di molti secoli, fiabe, leggende, credenze tutte medievali si conservano presso di loro integre e vivaci, come se il tempo non le avesse toccate.

Ora, non è chi non veda quanto intime e precise sieno le rispondenze fra questa versione italiana della leggenda della caccia selvaggia e la rappresentazione che Dante ci offre della pena dei dissipatori; rispondenze, si noti, molto più compiute di quelle che si potessero scorgere tra la figurazione dantesca e le forme straniere della stessa leggenda. Il che vale a corroborare, indi-

  1. Non posso tenermi dal dire che di più d’una di queste notizie son debitore alla cortesia del mio già professore Emilio Lovarini, che pur aveva pensato, prima di me, all’ipotesi che qui mi provo di svolgere.