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VI


Com’è varia l’aria! Su quella rupe dev’esserci un grande uccello morto squarciato da una palla. Non capisco perché andò ad olezzare lassú! Avrei voluto arrampicarmi a lui e tentai ma fui richiamato. Gli uomini che sentono da lontano non sanno che io devo poter avvicinarmi agli oggetti per intenderli meglio.

Il padrone, un giorno, colpí un piccolissimo uccello ed io glielo portai. Palpitava ancora giocondamente nella mia bocca, ma era tanto minuscolo che pareva un mucchietto di piume animato. Il padrone lo prese in mano e lo gettò via. Poi cadde la neve e noi non si uscí per varii giorni. Quando si ripassò per di là io trassi dalla neve l’uccellino che m’aveva richiamato col suo odore squisito oltre il fitto mantello che lo copriva. Lo presi in bocca e lo portai trionfante al padrone. Ma il padrone non voleva che quell’odore fosse tolto di là e mi picchiò finché non apersi la bocca e non lasciai andare la preda.

Quando il padrone non c’era e perciò non gl’importava io ritornavo a quell’uccellino. Oramai non aveva che piume e penne e la testina tondeggiante era priva d’occhi e reclinata nel riposo. Odorava come da vivo ma tanto piú forte! Certo la sua vita è ora piú forte ed esso si raccoglie nel riposo a formare un uccello piú grande. Non sarà piú l’uccellino dal volo tanto tenue che poté esser interrotto da un pallino di piombo stornato da un ramo d’albero. Sarà un uccello enorme e un giorno spiccherà il volo portando per l’aria il suo vivo odore. E per abbatterlo non basterà piú un pallino ma occorrerà colpirlo al cuore come il mio padrone sa. E verrà giú con le ali ripiegate e la testa reclinata sotto il corpo a cercare nuovo riposo e nuova vita.