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GIACOMO


N

ELLE mie lunghe peregrinazioni a piedi traverso le campagne del Friuli io ho l’abitudine d’accompagnarmi a chi incontro e di provocarne le confidenze. Io vengo detto chiacchierone ma pure sembra che la mia parola non sia tale da impedire l’altrui perché da ogni mia gita riporto a casa comunicazioni importanti che illuminano di vivida luce il paesaggio per cui passo. Le casette nel paesaggio mi si palesano meglio e nella verde campagna ubertosa scorgo oltre che la bella indifferenza che ha ogni manifestazione di una legge, anche la passione e lo sforzo degli uomini dei quali la legge non è tanto evidente.

Venivo da Torlano e camminavo verso Udine quando mi imbattei in Giacomo, un contadino circa trentenne vestito anche piú miseramente dei soliti contadini. La giubba era sdruscita e la maglia di sotto anche. La pelle che ne trapelava aveva qualche cosa di pudico anch’essa, quasi fosse stata un altro vestito cosí bruciata dal sole. Per camminare meglio portava le scarpe in mano e i piedi nudi non pareva evitassero le pietre. Ebbe bisogno di uno zolfanello per una sua piccola pipa e la conversazione fu avviata. Non so che cosa egli abbia appreso da me ma ecco quello che io sentii da lui. Preferisco di raccontare la storia con le mie parole prima di tutto per farla piú breve e poi per la ragione semplicissima che non saprei fare altrimenti. La sua durò fino a Udine e anche oltre perché fıní dinanzi ad un bicchiere di vino che io pagai. Non trovo che la storia mi sia costata troppo.

Giacomo, nel suo villaggio, era detto il poltrone. Ben presto, già nella sua prima gioventú fu noto a tutti i proprietari per due qualità: Quella di non lavorare e quella d’impedire il lavoro anche agli altri. Si capisce come si faccia a non lavorare; piú difficile è intendere come un uomo solo possa impedire il lavoro a ben 40 altri. Vero è che fra quaranta è