Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/390

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E nessuno finora mai rimpiazzò Felicita. Cerco tuttavia di ingannare madre natura che mi sorveglia per sopprimermi non appena si fosse avvista ch’io non sono piú atto alla riproduzione. Con dosatura sapiente proprio nelle quantità volute dall’Hannemann io prendo giornalmente un po’ di quella medicina. Guardo le donne che passano, accompagno il loro passo cercando di vedere in quelle loro gambe qualche cosa d’altro che un ordigno per camminare e risentire il desiderio di fermarle e accarezzarle. Anche qui la dosatura si fa anche piú avara di quello che io e Hannemann vorremmo. Debbo cioè sorvegliare i miei occhi perché non rivelino che cosa ricerchino e cosí si capisce che tanto raramente la medicina serva. Si può fare a meno di farsi accarezzare da altri per arrivare a un intero sentimento ma non si può senza correre il pericolo di raffreddare il proprio animo, fingere un’indifferenza assoluta. E avendo scritto questo capisco meglio la mia avventura con la vecchia Dondi. Io la salutai per farle qualche cosa e sentire meglio la sua bellezza. È il destino dei vecchi di fare dei bei saluti.

Non bisogna credere che tali relazioni fuggitive e che sono fatte solo allo scopo di salvarsi da morte, non lascino delle tracce, non vadano ad adornare e turbare la vita proprio come la mia relazione con Carla o quella con Felicita. Talvolta — ramente – arrivano a lasciare un ricordo incancellabile per l’impressione forte avuta. Io ricordo una signorina seduta di faccia a me in tranvai. Ricordo essa mi lasciò. Arrivammo ad una certa intimità perché io le diedi un nome: Anfora. Non aveva una faccia molto bella ma degli occhi accesi, un po’ rotondi, che guardavano tutto con grande curiosità e astuzia un po’ infantile. Avrà forse avuto oltre ai venti anni ma io non mi sarei meravigliato se essa per ridere avesse dato di soppiatto uno strappo alle codine sottili di una bambina che le sedeva per caso accanto. Non so se per la sua rara forma o per quella che le era simulata dal suo vestito, il suo busto pur esile somigliava ad un’anfora elegante poggiata sul bacino. Ed io molto ammirai quel busto e pensai per truffare meglio madre natura che mi sorvegliava: “Certo, io non deb-