Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/438

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sopportarlo per volere altrui: Una bella differenza! Egli amava tuttavia tutti. Chissà invece i membri di quella famiglia come frequentemente desideravano di veder schiattare quella grossa pancia che gli stava tronfia di faccia!

E l’antipatia per il suo interlocutore fu sí viva che per la prima volta iniziò lui la discussione ed anzi tentò senz’altro di montargli sulle spalle imitando quanto l’altro aveva fatto sino ad allora: «Io, invece, quando ci sono penso agli altri e spero che quando sono assente tutti gli altri pensano a me».

Il grosso uomo si mise a ridere, di un riso forte, a scatti, come gli scoppii di un motore che s’avvia: «Ma questa è poesia; vera, futile poesia. Sarebbe ella forse un poeta travestito?».

Travestito, no! Questo poi no! Ma poeta: Un uomo che non lo conosceva s’azzardava d’indagare i piú intimi meandri del suo cuore? Poeta: Egli stesso talvolta aveva dubitato d’esserlo. Già! Che cosa erano i suoi augurii a tutti che aveva interrotti accorgendosi che finivano coll’essere ironici come se li avesse indirizzati a quattro giocatori di bridge ad un tavolo, se non pura, vuota poesia? E quella sua ammirazione per le donne ben vestite che non poteva risultare dal desiderio del peccato mortale perché altrimenti le avrebbe desiderate meno ben vestite? E persino quel suo desiderio di essere solitario nel dolore per annullarlo nello sforzo d’arrivare a considerare e farsi considerare dal prossimo sconosciuto? E i cani? Tutto ciò era certamente vuota, vana poesia. Il signor Aghios si esaminava con grande sincerità, ma, con una falsità ispirata dall’odio disse costringendosi a ridere anche lui a scatti per un’imitazione del modo di ridere del suo interlocutore e nemico replicò: «Io, poeta? Io sono un buon commerciante. Io poeta? A meno che a questo mondo non si sia tutti un po’ poeti. Anche lei con la sua esigenza che tutti s’occupino di lei».

«Nella mia famiglia, notabene» ammoní il mastodonte «perché di tutti gli altri io me ne infischio.» Lo guardava tanto fisso che il poeta sentí d’essere fra quegli altri.