Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/460

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Alessandro disse, al solito, la barzelletta: «Via el remo e toca de novo al cortelazzo».

Ed anche questo passaggio dal remo del delirio al coltellaccio solido e pesante della realtà non fu dimenticato piú dal fanciullo. Al tramonto, in Dicembre, dunque ben di buon’ora, egli avrebbe voluto andare a casa. Ma il lavoro premeva ed Alessandro non ne volle sapere. Allora Marianno cui doleva la manina indebolita dalla malattia abbandonò la doga su cui aveva lavorato e copertasi la faccia con ambe le mani si mise a piangere. Oh! Com’era bella la malattia e come i sani erano infelici perché dovevano lavorare. Perché era guarito tanto presto?

Anche Alessandro cessò di lavorare per tenergli una predica che non voleva finire piú. Marianno era stato accolto in casa per pietà. Chi sa in che mani avrebbe finito se loro non lo avessero adottato. Poi egli s’era ammalato e loro lo avevano curato. Il medico aveva costato tanto... le medicine tanto... eppoi per tutto quel tempo Alessandro aveva dovuto squadrarsi le doghe da solo. È vero ch’egli le squadrava meglio perché dopo un anno di pratica Marianno ancora non aveva capito di tener giuste le misure. E Alessandro tirava fuori un barile fatto con le doghe squadrate da Marianno prima della sua malattia e dimostrava che le doghe erano state segate fuori di posto cosí che la pancia del barile non risultava al centro. Secondo Alessandro quella non era piú una pancia, ma una gobba, perché la pancia non è mai fuori di posto.

Marianno ricordava d’aver voluto bene ad Alessandro e di averne accettate le ammonizioni sempre senz’alcun rancore. I figliuoli devono accettarle dai genitori anche quando questi ti dichiarano in ogni occasione di non essere tuoi genitori. La sua debolezza infantile si sentiva bene accanto alla debolezza senile di Alessandro. Tanto buono era Alessandro che quando era ubriaco (ogni lunedí come tutti i bottai) diventava ancora piú mite ed affettuoso. Faceva allora anche la teoria della sua bontà. Sentiva come fosse buono e bello di essere tanto debole. L’uomo forte poteva essere rovinato per tutta la sua vita da un paio di litri di vino. Il debole non correva tale ri-