Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/325

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quando Carla mi venne incontro. Aveva in mano la mia busta e mi si avvicinava senza un sorriso di saluto, anzi con una rigida decisione sulla faccina pallida. Portava un semplice vestito di tela dal tessuto grosso traversato da striscie azzurre, che le stava molto bene. Pareva anch’essa una parte del giardino. Più tardi, nei momenti in cui più la odiai, le attribuii l’intenzione di essersi vestita così per rendersi più desiderabile nel momento stesso in cui mi si rifiutava. Era invece il primo giorno di primavera che la vestiva. Bisogna anche ricordare che nel mio lungo ma brusco amore, l’adornamento della mia donna aveva avuto piccolissima parte. Io ero sempre andato direttamente a quella sua stanza da studio, e le donne modeste sono proprio molto semplici quando restano in casa.

Essa mi porse la mano ch’io strinsi dicendole:

— Ti ringrazio di essere venuta!

Come sarebbe stato più decoroso per me se durante tutto quel colloquio io fossi rimasto così mite!

Carla pareva commossa e, quando parlava, una specie di convulso le faceva tremare le labbra. Talvolta anche nel cantare quel movimento delle labbra le impediva la nota. Mi disse:

— Vorrei compiacerti e accettare da te questo denaro, ma non posso, assolutamente non posso. Te ne prego, riprendilo.

Vedendola vicino alle lacrime, subito la compiacqui prendendo la busta che mi ritrovai poi in mano, lungo tempo dopo di aver abbandonato quel luogo.

— Veramente non ne vuoi più sapere di me?

Feci questa domanda non pensando ch’essa vi aveva