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per l’esecuzione del nostro ordine, era stato raggiunto e che perciò eravamo felici proprietari di sessanta tonnellate di solfato di rame.

Guido protestò:

— Come si può pensare ch’io accetti tanto in ritardo l'esecuzione del mio ordine?

Pensai subito io che nel nostro ufficio dovesse esserci la lettera di conferma del primo dispaccio, mentre Guido non ricordava di averla ricevuta. Lui, inquieto, propose di correre subito all’ufficio per vedere se ci fosse, ciò che mi fu molto gradito perchè mi seccava quella discussione dinanzi ad Augusta la quale ignorava che io per un mese non m’ero fatto vedere in ufficio.

Corremmo all’ufficio. Guido era tanto dispiacente di vedersi costretto a quel primo grande affare che, per esimersene, sarebbe corso fino a Londra. Aprimmo l’ufficio; poi, a tastoni nell’oscurità, trovammo la via alla nostra stanza e raggiungemmo il gas, per accenderlo. Allora la lettera fu subito trovata ed era fatta come io l’avevo supposta; c’informava cioè che il nostro ordine valido sino a revoca era stato eseguito.

Guido guardò la lettera con la fronte contratta non so se dal dispiacere o dallo sforzo di voler annientare col suo sguardo quanto si annunciava esistente con tanta semplicità di parola.

— E pensare — osservò — che sarebbe bastato di scrivere due parole per risparmiarsi un danno simile!

Non era certo un rimprovero diretto a me perchè io ero stato assente dall’ufficio e, per quanto avessi saputo trovare subito la lettera sapendo ove doveva trovarsi, prima di allora non l’avevo mai vista. Ma per nettarmi più radicalmente da ogni rimprovero, lo rivolsi deciso a lui: