Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/366

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sione c’induca. Naturalmente designo come parole solo quelle che non sono azioni, perchè so benissimo che le parole di Jago, per esempio, sono delle vere e proprie azioni. Ma le azioni, comprese le parole di Jago, si commettono per averne un piacere o un beneficio e allora tutto l’organismo, anche quella parte che poi dovrebbe erigersi a giudice, vi partecipa e diventa dunque un giudice molto benevolo. Ma la stupida lingua agisce a propria e a soddisfazione di qualche piccola parte dell’organismo che senza di essa si sente vinta e procede alla simulazione di una lotta quando la lotta è finita e perduta. Vuole ferire o vuole accarezzare. Si muove sempre in mezzo a dei traslati mastodontici. E quando son roventi, le parole scottano chi le ha dette.

Io avevo osservato ch’essa non aveva più i colori che l’avevano fatta ammettere tanto prontamente nel nostro ufficio. Mi figurai fossero andati perduti per una sofferenza che non ammisi avesse potuto essere fisica e l’attribuii all’amore per Guido. Del resto noi uomini siamo molto inclinati a compiangere le donne che si abbandonarono agli altri. Non vediamo mai quale vantaggio se ne possano aspettare. Possiamo magari amare l’uomo di cui si tratta — come avveniva nel caso mio — ma non sappiamo neppur allora dimenticare come di solito vadano a finire quaggiù le avventure d’amore. Sentii una sincera compassione per Carmen come non l’avevo sentita mai per Augusta o per Carla. Le dissi: — E giacchè avete avuta la gentilezza d’invitarmi ad esservi amico, mi permettereste di farvi degli ammonimenti?

Essa non me lo permise, perchè, come tutte le donne in quei frangenti, anch’essa credette che ogni ammonimento sia un’aggressione. Arrossì e balbettò: — Non