Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/407

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— Ti dirò io come si dovrà fare quella copia.

Protestai gridando. In tutta la mia vita non gridai tanto come con Guido perchè talvolta mi sembrava sordo. Gli dichiarai che esisteva in legge anche una responsabilità del contabile ed io non ero disposto di gabellare per copie esatte dei raggruppamenti cervellottici di cifre.

Egli impallidì e riconobbe che avevo ragione, ma soggiunse ch’egli era padrone d’ordinare che non si dessero affatto degli estratti dai suoi libri. In ciò riconobbi volentieri che aveva ragione e allora, rinfrancatosi, dichiarò che a suo padre avrebbe scritto lui. Parve anzi che volesse immediatamente mettersi a scrivere, ma poi cambiò d’idea e mi propose di andar a pigliare una boccata d’aria. Volli compiacerlo. Supponevo che non avesse ancora digerito bene il bilancio e volesse moversi per cacciarlo giù.

La passeggiata mi ricordò quella della notte dopo il mio fidanzamento. Mancava la luna perchè in alto c’era molta nebbia, ma giù era la stessa cosa, perchè si camminava sicuri traverso un’aria limpida. Anche Guido ricordò quella sera memoranda:

— E’ la prima volta che camminiamo di nuovo insieme di notte. Ricordi? Tu allora mi spiegasti che anche nella luna ci si baciava come quaggiù. Adesso invece nella luna continuano il bacio eterno; ne sono sicuro ad onta che questa sera non si veda. Quaggiù invece....

Voleva ricominciare a dir male di Ada? Della povera malata? Lo interruppi, ma mitemente, quasi associandomi a lui (non l’avevo forse accompagnato per aiutarlo a dimenticare?):