Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/415

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si sarebbe salvato e il giovine Olivi sarebbe stato più utile in quell’ufficio che non nel mio.

L’idea mi esaltò e destai Augusta per comunicargliela. Anch’essa ne fu tanto entusiasmata da destarsi del tutto. Le pareva che così io avrei più facilmente potuto levarmi dagli affari compromettenti di Guido. Mi addormentai con la coscienza tranquilla: avevo trovato il modo di salvare Guido senza condannare me; anzi tutt’altro.

Non c’è niente di più disgustoso che di vedersi respinto un consiglio ch’è stato sinceramente studiato con uno sforzo che costò persino delle ore di sonno. Da me c’era poi stato un altro sforzo, quello di spogliarmi dell’illusione di poter giovare io stesso agli affari di Guido. Uno sforzo immane. Ero dapprima arrivato ad una vera bontà, poi ad un’assoluta oggettività e mi si mandava a quel paese!

Guido rifiutò il mio consiglio addirittura con disdegno. Non credeva capace il giovine Olivi, eppoi gli spiaceva il suo aspetto di giovine vecchio e più ancora gli spiacevano quei suoi occhiali tanto lucenti sulla sua scialba faccia. Gli argomenti erano veramenti atti a farmi credere che di fondato non ce ne fosse che uno: il desiderio di farmi dispetto. Finì col dirmi che avrebbe accettato come capo del suo ufficio non il giovane ma il vecchio Olivi. Ma io non credevo di potergli procurare la collaborazione di questi, eppoi io non mi credevo pronto per assumere da un momento all’altro la direzione dei miei affari. Ebbi il torto di discutere e gli dissi che il vecchio Olivi valeva poco. Gli raccontai quanto denaro mi avesse costato la sua caparbietà di non aver voluto comperare a tempo quella tale frutta secca.