Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/426

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era aspettata dovesse divenire Guido. Era dunque amore? Ed essa disse ancora:

— Sei il migliore uomo della nostra famiglia, la nostra fiducia, la nostra speranza. — Mi riafferrò la mano e io la serrai forse troppo. Essa me la sottrasse però tanto presto, che fu dissipato ogni dubbio. E in quella buia stanzuccia io seppi di nuovo come dovevo comportarmi. Forse per attenuare il suo atto mi mandò un’altra carezza: — È perchè ti so così che mi dolgo tanto di averti fatto soffrire. Hai veramente sofferto tanto?

Io ficcai subito l’occhio nell’oscurità del mio passato per ritrovare quel dolore e mormorai:

— Sì!

A poco a poco ricordai il violino di Guido eppoi come m’avrebbero gettato fuori di quel salotto se non mi fossi aggrappato ad Augusta, e poi ancora il salotto in casa Malfenti, ove intorno al tavolino Luigi XIV si faceva all’amore, mentre dall’altro tavolino si guardava. Improvvisamente ricordai anche Carla perchè anche con lei c’era stata Ada. Allora sentii viva la voce di Carla che mi diceva ch’io appartenevo a mia moglie, cioè ad Ada. Ripetei, mentre le lacrime mi salivano agli occhi:

— Molto! Sì! Molto!

Ada singhiozzava addirittura: — Mi dispiace tanto, tanto!

Si fece forza e disse:

— Ma adesso tu ami Augusta!

Un singhiozzo l’interruppe per un istante ed io trasalii non sapendo se essa si fosse fermata per sentire se io avrei affermato o negato quell’amore. Per mia fortuna non mi diede il tempo di parlare perchè continuò: