Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/134

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Il Leardi parlava già d’altro argomento, e poco dopo Emilio lo lasciò. Per allontanarsi addusse di nuovo a pretesto un’improvvisa indisposizione, e il Leardi lo vide tanto sconvolto che gli credette ed anzi gli dimostrò una partecipazione amichevole che costrinse il Brentani a dirgli una parola di riconoscenza. Invece come sentiva d’odiarlo! Avrebbe voluto poter spiarlo almeno per quella giornata; certo sarebbe finito con lo scoprirlo accanto ad Angiolina. Un’ira insensata gli fece digrignare i denti e subito dopo si rimproverò quell’ira con amarezza e ironia. Chissà con chi Angiolina lo avrebbe tradito quel giorno, forse con delle persone ch’egli non conosceva neppure. Come era superiore a lui il Leardi, quell’imbecille privo di idee! Quella calma era la vera scienza della vita. — Sì, — pensò il Brentani, e gli parve di dire una parola che avrebbe dovuto far vergognare insieme a lui l’umanità più eletta — l’abbondanza d’immagini nel mio cervello forma la mia inferiorità. — Infatti se il Leardi avesse pensato che Angiolina lo tradiva, non se la sarebbe saputa rappresentare in un’immagine così piena di rilievo, di colore e di movimento come faceva lui figurandosela accanto al Leardi. Allora appena si scopriva la nudità ch’egli aveva soltanto intravvista e il più comune facchino vi trovava immediata la soddisfazione e la pace. Un atto breve, brutale, la derisione di tutti i sogni, di tutti i desideri. Quando al sognatore l’ira ottenebrò la vista, la visione scom-