Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/135

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parve lasciandogli nell’orecchio l’eco lunga di una sonora risata.

A pranzo Amalia dovette accorgersi che la novità che agitava Emilio non era lieta. Egli la sgridò con violenza perchè il pranzo non era pronto: aveva fame e fretta. Ebbe poscia la tortura di dover mangiare essendosi compromesso con tale dichiarazione. Ma, dopo mangiato, restò fermo, indeciso dinanzi al piatto vuoto. Aveva deciso; quel giorno non sarebbe andato da Angiolina, anzi non le si sarebbe avvicinato mai più. Il più forte dolore che allora provasse era di aver offesa la sorella. La vedeva triste e pallida. Avrebbe voluto chiederle scusa. Ma non osò. Sentiva che, se avesse pronunziate delle parole dolci, avrebbe pianto come un bambino. Finì col dirle ruvidamente ma con l’evidente intento di rabbonirla: — Dovresti uscire, fa un tempo bellissimo. — Ella non rispose e lasciò la stanza. Allora egli si adirò: — Non sono abbastanza disgraziato? Ella deve aver già compreso in quale stato d’animo io mi trovi. Quel mio invito amorevole sarebbe dovuto bastarle per ridivenire gentile e non turbarmi col suo rancore.

Si sentiva stanco. Si coricò vestito e subito cadde in un torpore che non gli toglieva di ricordare la propria sventura. Una volta alzò la testa per asciugarsi gli occhi pieni di lagrime, e pensò con amarezza che quelle lagrime gli venivano spremute da Amalia. Poi dimenticò tutto.

Quando si svegliò, trovò che calava la notte, uno