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LIBRO QUARTO | 199 |
teso insidie al principe; mandato in Gallia sommovitori a guerra; e Cecilio Cornuto, stato pretore, trovati i danari;„ il quale per lo dispiacere, e perchè allora il pericol di morte era certezza, la si avacciò. Ma il reo niente perduto d’animo, scoteva verso il figliuolo le catene, chiedeva vendetta agl’Iddìi: „Rimettesserlo nel suo esiglio, lontano da modi tali, seguisse mai più il supplizio di cotal mostro.„ Sagramentava, Cornuto esser innocente, fattosi paura dell’ombra; „che più bello che far venire i compagni? non potendo già egli aver tolto a uccidere il principe, e rimutare lo stato con costui solo.„
XXIX. Allora l’accusatore nominò Gn. Lentulo, e Seio Tuberone, a grande onta di Cesare, che due più cari amici suoi, i primi della città, Lentulo decrepito, Tuberone infetto, fossero accusati di tumulti, guerra e congiura controgli; però di questi non si parlò. I servi esaminati contro al padre, dissero contro al figliuolo; il quale sbalordito per lo peccato e per lo popolo che gli gridava dietro: „Rovere, Sasso, Otro1,„ si fuggì a Ravenna; funne rimenato, e fatto seguitar la querela. Tanto rancore mostrò Tiberio contro a Sereno vecchio, per avergli scritto sin quando fu dannato Libone: Solo esso averlo servito senza frutto, e altre parole risentite, non da orecchi superbi e sdegnosi. Otto anni le li serbò, nel qual tempo gli tese più trappole, ma i servi ressero a’ tormenti.
- ↑ In carcere, in cassa di rovere lasciavan morire i brutti scelerati, o li precipitavano dal Sasso tarpeo; e li parricidi cucivano in otro con serpe, scimia e gallo, e gittavano in fiume o in mare. Vedi la postilla del 6 Lb. S. III.