Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/208

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LIBRO QUARTO 201

isola, di sì gran volontà, che egli giurò ciò essere utile della repubblica. Cosa che parve allora cruda, ma ne lo benedisse l’età seguente, che vide Suilio tornato potente, vendereccio usar la grazia di Claudio lungamente con felicità, e sempre senza bontà. La medesima pena ebbe Cato Firmio senatore, per querela falsa di maestà data alla sorella. Costui, com’è detto, aveva carrucolato, e poi accusato Libone. Tiberio di questa buon’opera ricordevole, sott’altro colore gli campò l’esilio; pure lo lasciò radere del senato.

XXXII. Minute e poco memorevoli1 veggo io che parranno le più delle cose ch’io ho detto, e dirò; ma non sia chi agguagli questi nostri Annali alle storie antiche di Roma. Gli scrittori di quelle narravano guerre grosse, città sforzate, re presi e sconfitti; e dentro, discordie di consoli con tribuni, leggi a’ terreni, a’ frumenti, zuffe della plebe co’ grandi; larghissimi campi. Il nostro è stretto, e scarso di lode pace ferma o poco turbata; Roma attonita; principe dì crescere imperio non curante. Ma non fia disutile notomizzare cotali membretti di storia, che da prima niente paiono; ma ci sono alla vita grandissimi insegnamenti2.

  1. L’Autore nel sedicesimo di questi Annali del suo contare troppo spesse rovine di grandi ne’ medesimi modi, con loro viltà stomachevoli, fa scusa piacevole: Che questa menzione del fatto loro, era l’onoranza e la pompa dell’esequie che loro si venivano, come a grandi, delle quali si vantaggiano dagli altri uomini.
  2. Leggo monitus, non motus. Aristotile nel i delle Parti degli animali, cap. 5, dice che nella natura non è cosa sì vile che non vi siano maraviglie da specolare; e condisce