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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/371

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364 DEGLI ANNALI

giravanli attorno; e uno d’essi, sbuffando la bestia, coperto d’acqua, vi perì.

XXXII. Altro gener di giuochi vide Roma, per furor d’uomini non di fiere, e pel disonor del principe, infami, che finiron tosto in pubblico lutto. Poichè gli spettacoli in repubblica istituiti a far virili gli animi e i corpi, prevalendo la monarchia, cangiaronsi in crudeltà; e dal veder sempre sangue i principi a barbari capricci usaronsi. In tai giuochi gladiatori spogliò Claudio l’innata, e l’acquistata colle lettere sua umanità, più facilmente, quanto vantavasi vindice della schiavesca audacia, e di quel sangue il popolo gioiva. Spose dunque alle fiere schiavi e liberti, sotto Caio e Tiberio, famosi da false accuse contro i padroni; rei certo, ma da punirsi altramente; e tanti ne periro, che fe’ portar altrove la statua di Augusto quivi sita; per non dover sempre veder ella stragi, o star velata; impudente ad ordinare e mirar cose, che a scorno avea si facessero anzi la statua di Augusto.

XXXIII. A tante stragi incallito sgozzar fe’ sovente gladiatori, massime reziarj, per vederli in viso trafelanti. Da’ facinorosi e plebei saltò poi a’ migliori e più nobili; da Messalina e da’ liberti a crudeltà spinto, e per lor ressa ad audacia, sul timor d’imminente rischio, se mai barcollava. A tali aguati presero C. Appio Silano, reggente la Spagna. Dal principe chiamato, a Roma erasi reso, e sposata la madre di Messalina, sperar potea tutto, se men egli era di virtù, o men questa libidinosa. Ma abborrendola, perchè nè pur al materno talamo la perdonava, in odio ella volse il negletto amore, implacabile quanto brutale, e mancando reità da opporli, indettatasi con