Vai al contenuto

Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/408

Da Wikisource.

LIBRO UNDECIMO 401

se nella città l’acqua delle fontane sotto i colli Imbruini. Aggiunse nuove lettere all’abbicì, veduto che anche il greco fu da prima imperfetto.

XVIII. Gli Egizj fur primi a significare i concetti della mente, e le memorie umane, per figure d’animali scolpite in sassi, che ancor se ne veggono delle antichissime; e diconsi trovatori delle lettere. Averle poi i Fenicj, possenti in mare, portate in Grecia: e della cosa apparata, per trovata, fattisi belli, essendo fama che Cadmo con armata di Fenicj passatovi, insegnò leggere a que’ Greci, allora rozzi. Alcuni scrivono che Cecrope ateniese, o Lino tebano, trovarono sedici lettere: e ne’ tempi di Troia, Palamede argivo tre; altri poi l’altre, e massimamente Simonide. Insegnolle in Italia a’ Toscani Damarato corintio; agli Aborigini Evandro d’Arcadia. Furono i latini caratteri quei de’ Greci antichissimi. Avemmo anche noi prima poche lettere, poi se n’aggiunsero, come da Claudio, le tre; mentre dominò usate, poi scartate: e se ne vede nelle tavole di bronzo, murate nelle corti e ne’ tempj, per pubblicare i decreti.

XIX. In senato propose sopra il collegio degli aruspici, che tanta scienza, in Italia antichissima, non si trasandasse: ed essersene in molti travagli della republica chiamati i maestri per rimetterla, e meglio usarla; averla i grandi di Toscana, volontari o spinti dai Padri di Roma, ritenuta e lasciata nelle famiglie, ora non si stimare, per la comune trascuranza delle arti nobili, e per attendersi alle superstizioni forestiere. Andarci ogni cosa prospero, ma doversene ringraziare i benigni Iddii; e non volere i sagri riti nell’avversità osservati, nelle felicità dismettere. I se-


26