Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/409

Da Wikisource.

livoglienza; troppo ricordando i suo' meriti : diceva gli altri poltroni ; Cecina prigione arrenduto ; onde a poco a poco a Vespasiano cadde di collo , senza però dimostrarlo.

LXXXI. In quella state che Vespasiano in xMessandria dimorò , aspettando l'etesie per navigare , si vide miracoli, che il (Cielo e gli Iddii l' amavano. Un povero cieco d'Alessandria , assai noto , consigliato da Serape, Iddio principale di quella gente piena di superstizioni, gittatosi alle ginocchia di Vespasiano , piagnendo il pregò volerlo illuminare , le gote e gli occhi immollandogli con la sua scili va: un altro, rattratto d' una mano, per lo consiglio medesimo , di farlasi calcare dalla pianta del piè di Cesare, nel pregò. Egli se ne rideva, e mandavali via; e pur quelli ripregandolo , ora temeva d' esser tenuto vano , ora per li scongiuri loro e per le voci delli adulanti, entrava in isperanza: fece vedere ai medici se a tal cecità e rattrazione era rimedio umano. Collegiarono che la luce non era perduta , e levandogli le cateratte , vedrebbe : l' altro avea i muscoli storti e potriensi con medicamenti sanare , ma che forse aveano gl' Iddii a questa divina cura eletto Cesare ; e che alla fine, riuscendo, toccherebbe la gloria a lui, e lo scherno a que'miseri, non riuscendo. Parendo adunque a Vespasiano alla fortuna sua piano ogni cosa e nulla incredibile, con lieto volto , non battendo occhi il popolo, eseguì. La mano incontanente s'adoperò, e'l cieco vide. Dell'uno e dell'altro ci ha testimonj di veduta ancor oggi, che non possono guadagnare della menzogna.

LXXXH. Si accese a Vespasiano maggior voglia