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schi preziosi tolti e sfregiati, e mutato lo stile dell’architettura, era divenuto quartiere di operai e di venditori, e centro di commercio quale rimase fino ai dì nostri.

Lo spaccato dell’edificio presentava due ordini di camere, la maggior parte anguste e non simmetriche, e per ogni lato le traccie degli oggetti che le avevano occupate. Qui dove la parete è meno scolorita, era un pendolo che ha segnato forse delle ore felici attese con trepidazione: dal vano di quell’alcova, dove una lieve striscia orizzontale nel muro indica che vi fu un letto, quanti sguardi furono rivolti al cielo per quella finestra di fronte, a vedere se il mattino sorgeva limpido e puro, e nelle ore d’insonnia e di sconforto a contemplarvi le stelle che parlavano di pace e di rassegnazione. Là è l’impronta d’una croce appesa alla parete; poco più in alto quella d’una piccola immagine, forse d’una persona amata con trasporto e perduta: a quelle aste di ferro si è abbarbicata tanto tenacemente una brionia che dovette essere divelta dal vaso, come avesse avuto intendimento d’amore, e non avesse acconsentito di vivere e di prosperare in altro luogo. — La stessa sorte aveva subìto uno stelo di gelsomino nell’incorniciatura di quella finestra; le sue foglie si rovesciano appassite, e i suoi fiori stellati, scossi dal vento, discendono lentamente roteando nella via.

Ma dove il cuore poteva attingere maggior copia di rimembranze, è nella parte più umile e più sconosciuta dell’edificio, in quelle camere oscure, angustissime, pregne di una mefite nociva, dove si consuma nobile ed ignorata l’esistenza del proletario e dell’operaio. Quanti spasimi, quante