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paolina. 39


Erano sette cavalieri con nove dame, vestite con eleganza abbagliante: i più bei visi che la fantasia d’uomo possa delineare: parea che la natura, nel comporne le fibre, ne avesse escluso l’elemento predominante, il dolore, e che il vizio non vi avesse lasciato alcuna traccia di sè, come veggiamo accadere di quei fiori bianchi, su cui sia passato un bruco nero, peloso, ributtante, senza offenderne la bellezza e il profumo. Vi vorrebbe il pennello fantastico di Grandeville, per offrire un’idea di quel gran quadro, di quelle nove donne, giovani, bellissime, pieghevoli, molli, voluttuose come le baccanti, e arrendevoli come le visioni d’un sogno.

Nè credo compatibile col carattere del mio racconto una descrizione più estesa di quell’orgia superba e straordinaria, di questi segreti baccanali della società moderna di cui nulla si trova di più stupendo nell’effemminatezza e nelle lascivie degli antichi.

Basti il rammentare, fra le altre splendidezze innumerevoli, un bagno tiepido di punch per venti persone, una pioggia di foglie di rosa continuata sino al mattino, una battaglia a zampilli di Champagne da quindici franchi la bottiglia, un enorme pasticcio automa che lanciava confetture e spruzzi di vino del Reno per ogni direzione, una di quelle danze che il Certaldese chiamerebbe Trivigiane, e finalmente una quantità innumerevole di veli azzurri trapuntati di fiori di’gelsomino, che discendendo verticalmente dal soffitto a cui restavano assicurati, formavano tante linee di separazione tra una e l’altra coppia danzante.

Al primo mattino, alcuni raggi di sole introducendosi per