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paolina. | 93 |
o ci si affaccia nemico, ci giunga soave e commovente la parola dell’uomo compassionevole? Pare che i nostri affetti accumulati e trattenuti loro malgrado in sè stessi, amino di rivolgersi interamente a costui, e l’anima ve li accompagna in tutta la pienezza dell’abbandono e dell’amore.
Ma noi accusiamo troppo spesso la società di alcuni mali che non dipendono che da noi, o che, anche essendone indipendenti, non possiamo giustamente attribuirle. Pur troppo si soffre e si vive nella convinzione che la società sia nemica nata degli individui, e da questo principio deriva l’accusa tacita, ma universale, che le moviamo segretamente della maggior parte delle nostre sventure, quasi ne fosse cagione l’istituzione stessa, non alcune sue leggi agevolmente modificabili.
Perciò se Paolina e Marianna provavano senza premeditazione, ma per un principio istintivo, un rancore segreto contro gli uomini, è ben agevole l’immaginare quanto questo sentimento riempisse e possedesse il cuore di Luigi.
Condotto quella notte stessa nel carcere, gli era stata assegnata una camera umida ed angusta: due tavole traforate dal tarlo sostenevano in un angolo un pagliericcio ripieno di foglie già trite di grano turco; una brocca senza manico, una sedia senza spalliera, un’asta sporgente dal muro per uso di attacca-vestiti, erano tutti i mobili della prigione che il carceriere gli era andato vantando come la migliore dello stabilimento, e per cui aveva, diceva egli, un diritto speciale alla sua riconoscenza.
Luigi si era posto a letto brancolando nel buio, aveva