Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/176

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del breve appello, che rivolgerebbe fra poco all'adorato. Poi, nell'uscir di chiesa, la volontà era già schiava di mille timori, e Vanna rientrò nella sua casa emettendo un respiro di sollievo. Se avesse telegrafato, se ne troverebbe già imbarazzata e dolente.

Giorno per giorno tornò quella di prima; l'abitudine riprese a intesserle attorno i suoi fili e l'indolenza ad ammassarle attorno strati di ovatta; si dedicò con più scrupolosa minuzia all'osservanza delle pratiche religiose, e poichè il fervore di Domitilla Rosa in lei non c'era, ella, facendosene acerba colpa, si affannava di compensare la mancanza di ardore con la esattezza, e la prolissità delle preghiere, con la severità delle astinenze. Dedicava a tutt'i santi del calendario gli stessi omaggi spirituali, assillata dallo sgomento di averli nemici, quasichè ogni santo personificasse una forza occulta da placare Voleva tenerseli alleati, ritrovarseli benigni dopo la morte, acciocchè essi facessero traboccare la bilancia in suo favore, quando, nel giorno spaventevole del Giudizio, il Signore avrebbe misurato il pondo dei suoi peccati amorosi e il demonio, in agguato, avrebbe atteso con turpi ghigni di afferrarla pei capelli e trascinarla fra mostri e tormenti.

Dall'altro canto Palmina, esperta in esercizii di stregoneria, mischiava olio con acqua e vi spegneva dentro la fiammella di un moccolo di cera, brontolando le parole inintelligibili dello scongiuro; e Vanna, senza esprimerlo, senza lasciarlo capire,