Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/124

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crime, si aprivano cosi attoniti e ignari di ogni bruttura, che Germano si ribellò al sacrilegio di profanare con le sue confessioni la casta incon sapevolezza di quella fanciulla! No, non poteva dirle, non poteva spiegarle; era fatale che l'anima di Flora rimanesse a turbinare fra queste due frasi, per lei inconciliabili: «Mi adora e ne sposa un'altra; mi adora e vedeva ogni giorno Balbina, mentre io ero ammalata.»

Spingendo i pugni chiusi dietro il dorso e pro tendendo il busto in avanti, Germano disse a denti stretti:

— Io sono maledetto! Io sono disperato! Io mi sento la forza di un leone, io potrei sradi care un albero, potrei ammazzare un bue, eppure devo guardarti piangere senza poterti consolare — e il pensiero della propria impotenza, para gonata all'esuberanza della propria forza fisica, lo sferzò di tale spasimo che egli si morse le mani, mandando un suono sordo di rabbia e dolore a guisa di bufalo incatenato.

Flora comprese che Germano soffriva anche più atrocemente di lei e dovette irrigidirsi per resistere alla tentazione di avvicinarsi a lui, di blan dirlo con parole soavi, di stringergli forte le mani, perchè smettesse di morderle a quel modo.

— Non farti male, Germano, non farti male e non lamentarti cosi! Mi uccidi! — e volendo in qualche maniera dimostrare a Germano la sua tenerezza persistente e la sua pietà, si lasciò ca dere seduta sull'orlo dell'abbeveratoio, si chinò verso Flock, cinse con le braccia il collo della bestia e ripetè fra i singhiozzi:

— Diglielo anche tu, Flock, che non si faccia male; diglielo anche tu che non mi faccia morire.