Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/56

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faceva, secondando la sporgenza convessa dei gi nocchi.

— Alzati — ella disse, sciogliendosi dolce mente dal nodo delle inani intrecciate di lui; e poiché egli rimaneva estatico, balbettando a fior di labbra parole di smarrimento, Flora si chinò, raccolse il cappello ancora giacente al suolo, lo ripose sulla testa di Germano e, dando un balzo all'indietro, esclamò con fanciullesca, gaia petu lanza:

— Io fuggo. Arrivami! --=· e cominciò a cor rere velocissima per il viottolo, facendo risuonare il bosco di acute grida giulive.

Germano, calcatosi con un pugno il cappello sul capo, si dette ad inseguirla; ma i rami in tricati, attraverso cui Flora passava curvandosi, schermendosi, sguisciando e strisciando, erano di ineiampo all'inseguitore, il quale si appiattava ora dietro un cespuglio, ora al riparo di un tronco, sperando ghermirla a tradimento.

Per qualche tempo il bosco echeggiò di escla mazioni giocose, con uno schiamazzo di rami cal pestati ed infranti, con un frascheggiamento di fronde smosse, con un frullìo di ali, un ansare dei petti, uno squillare aperto di risa, rattenute a stento e represse, allorché Germano vedeva on deggiare nell'ombra la bianca veste di Flora, o allorché la fanciulla deludeva l'appostamento di lui, curvo e proteso per l'imboscata.

Finalmente la giovanetta si dette per vinta e lasciò cadérsi senza fiato ai piedi di un albero.

Egli le fu subito vicino, ed entrambi, accesi in volto, coi capelli scomposti e i petti agitati dagli scatti irrefrenabili di una ilarità che non voleva quetarsi, si sentivano innocenti e felici