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ATTO QUARTO 105

TORRISMONDO

Fortuna errò, che volse i lieti giuochi
In tristi lutti, e inaspettata morte.
Per cuì, se di tal fede il messo è degno,
Norvegia ha ’l Re perduto, Alvida il padre.
Voi se cedete i mesti giorni al pianto,
E fuggite il dolor, nel primo incontro
Io non v’arresto; e non vi chiudo il passo,
S’al piacer vostro di tornar v’aggrada.

GERMONDO

Così noto io vi sono? al vostro lutto
Io potrei dimostrare asciutto il viso?
Io mai sottrar le spalle al vostro incarco?
Se ’l mio pianto contempra il vostro duolo,
Verserò ’l pianto; e se vendetta, il sangue.

TORRISMONDO

Io conobbi, Germondo, il valor vostro,
Che splendea com’un Sole; or più risplende,
Nè sono orbo al suo lume. Empia Fortuna
Farmi l’alba potrà turbata e negra,
E l’Ocean coprir d’oscuro nembo,
O pur celarmi a mezzo giorno il Cielo;
Ma non far ch’io non veggia il vostro merto,
E ’l dover mio. Volli una volta, e dissi:
Or non muto il voler, nè cangio i detti.
È vostra Alvida, e di Norvegia il regno
E’ sarà, sio potrò; ma più vi deggio.
Perchè non perdo il mio, nè spargo, e spando,
Come far io dovrei, la vita e l’alma.

CORO

Qual’arte occulta, o qual saper adempie
Dalle celesti sfere
D’orror gli egri mortali, e di spavento?