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ATTO QUARTO 107

Non la bruma, o l’ardor virtute offende,
Non ferro, o fiamma, o venti, o nubi avverse,
O duri scogli a lei far ponno oltraggio:
Perchè navi sommerse
Siano, ed altre disperse
Mandi procella infesta al gran viaggio,
E ’n ciel s’estingua ogni lucente raggio;
E co’ più fieri spirti
Sprezza Fortuna ancor tra scogli, e sirti.
Virtù non lascia in terra, o pur nell’onde
Guado intentato, o passo,
Od occulta latébra, o calle incerto.
A lei s’apre la selva, e ’l duro sasso,
E nell’acque profonde
S’aperse a’ legni il monte al mare aperto:
Alfin d’Argo la fama oscura, e ’l merto
Fia di Giason; ch’a più lodate imprese
Porteranno altre navi i Duci illustri;
Avrà sue leggi prese
L’Ocean, che distese
Le braccia intorno; e già volgendo i lustri
Avverrà che lor gloria il mondo illustri
Come Sol, che rotando
Caccia le nubi, e le tempeste in bando.
Virtù scende all’Inferno,
Passa Stige sicura, ed Acheronte,
Non che l’orrido bosco, o l’erto monte.
Virtude al ciel ritorna,
E dove in prima nacque, alfin soggiorna.