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140 TRAGEDIA NON FINITA
Ed a me diede, e ricevè la fede,

Ch’io di non osservar prefissò avea.
Indi, siccome a sposo, a me concesse
La figlia sua, che vergine matura
Fioria, cresciuta di bellezza, e d’anni.
Ed io, tolto congedo, in sulle navi
Posta la preda mia, spiegai le vele,
E per l’alto Ocean drizzai le prore.
Noi solcavamo il mare; e la credente
Mia sposa, al fianco mi sedeva assisa
Sempre, e pendea dalla mia bocca intenta:
E da’ suoi dolci sguardi, e da’ sospiri
Ben comprendea ch’ella nel molle core
Ricevuto m’avea sì fattamente,
Che si struggea d’amore, e di desio.
Io, che con puro e con fraterno affetto
Rimirata l’avea, come sorella,
Prima che del suo amor mi fossi accorto,
Quando vidi, ch’amando, ella ad amare
Mi provocava, mi commossi alquanto:
Pur ripresi dell’alma i moti audaci,
E posi freno ai guardi, e le parole
Ritenni, e tutto mi raccolsi, e strinsi.
Ma ’l luogo angusto, il qual seco congiunto
Mi tenea, mal mio grado; e l’ozio lungo,
E i suoi d’amor reiterati inviti,
Tanto efficaci più, quanto temprati
Eran più di modestia, e di vergogna,
Vinsero alfin la combattuta fede.
Ahi! ben è ver, che risospinto amore
Dopo mille repulse, assai più fiero
Torna all’assalto: ed è sua legge antica,
Ch’egli a nessun amato amar perdoni.
Già con gli sguardi ai guardi, e co’ sospiri
Rispondeva ai sospiri: e le mie voglie
Alle voglie di lei si feano incontra,
Sulla fronte venendo, e ’n sulla lingua ì;
Ma pur anco di me signore intauto
Era, ch’io contenea le mani, e i detti.
Quando ecco la Fortuna, e ’l Ciel avverso,
Con Amor congiurati, un fiero turbo
Mosser repente, il qual grandine, e pioggia
Portando, e cieche tenebre, sol miste