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142 TRAGEDIA NON FINITA
Nè dalle furie mie pace, nè tregua

Giammai ritrovo: o furie, od ire, o mie
Debite pene, e de’ mie ingiusti falli
Giuste vendicatrici! ove ch’io giri
Gli occhi, o volga il pensiero, ivi dinanzi
L’atto, che ricoprì l’oscura notte
Mi s’appresenta; e parmi in chiara luce
A tutti gli occhi de’ mortali esposto.
Ivi mi s’offre in spaventosa faccia
Il mio tradito amico; odo l’accuse,
E i rimproveri giusti: odo da lui
Rinfacciarmi il suo amore, e ad uno ad uno
Tutti i suoi beneficj, e tante prove,
Che fatto egli ha d’inviolabil fede.
Misero me! fra tanti artigli, e tanti
Morsi di coscienza, e di dolore,
Gli amorosi martir trovan pur loco:
E di lasciar la male amata donna
( Che è pur forza lasciar ) m’incresce in guisa,
Che di lasciar la vita anco dispongo.
Questo il modo più facile, e più breve
Mi par d’uscir d’impaccio: e poichè il nodo,
Onde Amor, e Fortuna involto m’hanno,
Scior non si può, si tronchi, e si recida;
Ch’avrò, morendo, almen questo contenuto,
Ch’in me giudice giusto, avrò punito
Io medesmo la colpa, onde son reo.
Consigl. Signor, tanto ogni mal sempre è più grave,
Quanto in parte più nobile, e più cara
Addivien, ch’egli caggia: e dal soggetto
Natura, e qualità prende l’offesa.
Quinci vediam, che quel, che leggier colpo
Forse parrebbe, ed insensibil male
Nella spalla, e nel braccio, e ’n quelle membra,
Che natura formò robuste, e dure;
Quel medesmo è negli occhi grave, e reca
Di cecità pericolo di morte.
Però quest’error tuo, che per sè stesso
Non saria di gran pondo, e lieve fora
Negli uomini volgari, o ’n quelle usate
Cittadine amicizie, che congiunge
L’utile, o in quelle, che diletto unisce;
Grave divien ( nol nego ) oltre misura