Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/147

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ATTO PRIMO 143
Tra grandezza di scettri, e di corone:

E tra il rigor di quelle sante leggi,
Che la vera amistà prescrisse altrui.
Error di Cavalier, di Re, d’amico,
Contra sì nobil Cavaliero, e Rege,
Contra amico sì caro, e sì leale,
Che virtude, ed onor ha per oggetto,
Fu questo tuo; ma pur chiamisi errore,
Abbia nome di colpa, e di peccato,
Di sfrenato desio, di cieca e folle
Cupidigia; si dica indegno fallo:
Nome di scelleraggine non merta.
Lunge, per Dio, Signor, per Dio sia lunge
Da ciascun’opra tua titol sì brutto.
Non sostentar a non dovuto carco;
Che s’uom non dee di falsa laude ornarsi,
Non dee gravarsi ancor di falso biasmo.
Non sei tu no ( la passion t’accieca )
Scellerato, Signor, nè traditore.
Scellerato è colui, che la ragione,
Ch’è dal Ciel caro, e prezioso dono
Data, perch’ella al ben oprar sia duce,
Torce di sua natura, e piega al male:
E contraria al voler di chi la diede
Guida all’opre, e le fa malvagie, ed empie,
E mostra nell’insidie, e nelle fraudi.
Ma quel, che senza alcun fermo consiglio
Di perversa ragion trascorre a forza,
Ove il rapisce impetuoso affetto;
Scellerato non è, quantunque grave
Sia il fallo, ove il trasporta ira, od amore.
D’ira, e d’amor ( potenti, e fieri affetti )
La nostra umanitade ivi più abbonda,
Ov’è più di vigore: e rado avviene,
Che cor feroce, e generoso, e pieno
D’ardimento, e di spirito guerriero,
Concitato non sia da’ suoi duo moti,
Quasi da vento procelloso mare.
Ora a memoria richiamar ti piaccia
Ciò, che fanciullo udir da me solevi.
Mira de’ prischi Greci i duo più cari:
E vedrai l’un, che per concetto sdegno
Siede fra l’armi neghittoso, e niega,