Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/159

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ATTO SECONDO 155
Già sì belle non son, nè sì leggiadre

Le figliuole de’ Principi de’ Goti.
Rosmon. Tolga Iddio, che per me sospiri alcuno.
Filena Vaneggi? or dunque a te saria discaro,
Che sì forte guerrier, Re sì possente
Sospirasse per te di casto amore,
In guisa tal, che farti egli bramasse
De’ bellicosi suoi Goti Regina?
Rosmon. Madre, io nol negherò: nell’alta mente
Questo pensiero è in me riposto, e fitto,
Di viver vita solitaria, e sciolta
Da’ maritali lacci: e conservarmi
Della verginitade il caro pregio,
Stimo più, ch’acquistar scettri, e corone.
Filena E’ si par ben, che giovinetta ancora,
Quanto sia grave, e faticoso il pondo
Della vita mortal, tu non conosci,
Poichè portar sì agevolmente il credi.
La nostra umanitade è quasi un giogo
Gravoso, che natura, e ’l Ciel n’impone,
Il qual ben sostentato esser non puote
Dall’uom, s’egli è disgiunto, o dalla donna.
Ma quando avvien, ch’in matrimonio uniti
Di conforme voler marito e moglie
Compartano fra lor gli ufficj, e l’opre,
Scambievolmente allor l’uno dall’altro
Riceve vita, e fanno sì ch’il peso
Lieve lor sembra, e dilettoso il giogo.
Deh chi mai vide scompagnato bue
Segnare i solchi? o, cosa anco più strana,
Che sola donna sterilmente segni
I fruttiferi campi della vita?
Questo, ch’io ti dico or, figlia, l’insegna
L’esperienza, mastra de’ mortali;
Perocchè quel Signore, a cui mi scelse
Compagna il Cielo, e ’l suo volere, e ’l mio,
In guisa m’ajutò, mentre egli visse,
A sopportar ciò, che natura, e ’l caso
Suole apportar di grave e di nojoso,
Ch’alleggiata ne fui, nè sentii mai
Cosa, che di soverchio il cor premesse.
Ma poichè morte ci disgiunse ( ahi morte
Memorabil per me sempre, ed acerba!