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156 TRAGEDIA NON FINITA
Sola rimasa sotto inqua soma,

Pavento spesso di cader tra via,
Oppressa dagli affanni: ed a gran pena
Per l’estreme giornate di mia vita
Trar posso il fianco debole, ed antico.
Lassa! nè torno a ricalcar giammai
Lo sconsolato mio vedovo letto,
Ch’io nol bagni di lagrime notturne;
Rimembrando fra me, ch’io già solea
Vederlo impresso de’ vestigj cari
Del mio Signor; e ch’ei solea ricetto
Dar a’ nostri riposi, ed agli onesti
Piaceri, ed esser secretario fido
De celati consigli, e delle cure.
Ma dove mi trasporta il mio dolore?
Or, ritornando a quello jonge si parla:
S’a me d’alleggiamento, e di diletto
Fu il ben amato mio Signor, ed io
A lui sovente agevolai gli affanni:
E quant’ei co’ consigli in me operava,
Tant’io co’ dolci miei conforti in lui:
E col soppormi a’ suoi travagli stessi,
E col piangerne seco: e mentre ei volto
Era a’ civili officj, ed alle guerre,
Sovra me tutto ei riposava il peso
De’ domestici affari: in cotal guisa
Questa vita mortal, se non felice
( Che felice non è stato mortale )
Contenta almeno, e fortunata i’ vissi:
E sventurata sol, perchè quel giorno,
Che chiuse a lui le luci, anco non chiuse
Queste mie stanche membra in quella tomba,
Ov’egli i nostri amori, e i miei diletti
Sen portò seco, e se li tien sepolti.
Oh! piaccia al Ciel, ch’a te vita, e consorte
Simíl sia destinato: e tal sarebbe
Per quel, ch’io di lui stimo, il Re de’ Goti.
Tu, s’avvien, ch’egli a te l’animo pieghi,
Schiva non ti mostrar di tale amante.
Rosmonda Sebben di noi, che giovinette siamo,
Quella è più saggia, che saper men crede;
E che le cose col canuto senno
Della madre misura, e non co’ suoi