Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/24

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20 IL TORRISMONDO

Conforti al dir mi son; benchè paventa,
E inorridisce a ricordarsi il core,
E per dolor rifugge; onde sdegnosa
S’induce a ragionar la tarda lingua;
Però in disparte io v’ho chiamato, e lunge.
Dovete rammentar, ch’uscito appena
Di fanciullezza, e di quel fren disciolto,
Che già teneste voi soave e dolce,
Fui vago di mercar fama, ed onore:
Onde lasciai la patria, e ’l nobil padre,
E gli eccelsi palagi, e vidi errando
Varj strani costumi, e genti strane;
E sconosciuto, e solo io fui sovente,
Ove il ferro s’adopra, e sparge il sangue.
In quelli errori miei, com’al Ciel piacque,
Mi strinsi d’amicizia in dolce nodo
Col buon Germondo, ch’a Suezia impera,
Giovine anch’egli, e pur di gloria ardente,
E pien d’alto desio d’eterna fama.
Seco i Tartari erranti, e seco i Mòschi,
Cercando i paludosi e larghi campi,
Seco i Sarmati i’ vidi, e i Rossi, e gli Unni,
E della gran Germania i lidi, e i monti.
Seco all’estremo gli ultimi Biarmi
Vidi tornando, e quel sì lungo giorno,
A cui succede poi sì lunga notte;
Ed altre parti della terra algente,
Che giaccia a’ sette gelidi Trioni,
Tutta lontana dal cammin del Sole.
Seco della milizia i gravi affanni
Soffersi, e seco ebbi comuni un tempo
Non men gravi fatiche, e gran perigli,
Che ricche prede, e gloriose palme,