Questo ad altrui servirá per avviso;
basti ch’essi di noi tal stima fanno
qual noi facciam del popolo crimiso.
Cosí va il mondo e chi è minchion suo danno:
chi pecora si fa, del lupo è preda,
e schiavo chi sta sotto del tiranno.
Né, ben ch’io dica questo, alcun si creda
che mala lingua io sia; ché pur un verso
non scrissi in biasmo d’altri, che si veda.
Ho stizza ben che ognun sia tanto immerso
nel re di Spagna e che per questo solo
vadan le cose d’Italia in traverso.
Io quando sento dir: — egli è spagnuolo —
faccio la conseguenza: idest un tristo,
un sodomita, un furbo, un mariuolo,
un luterano, un che non crede in Cristo,
un nemico d’Italia, un assassino,
un cugino, un fratel dell’Anticristo,
un furfante affamato, un contadino
ed un che passa a bella posta i monti
per rubarci di mano il pane, il vino.
Tutti canaglia son; ma, come gionti
sono fra noi, vi trovano il ripiego
col farsi cavalier, marchesi e conti.
Questo è don Pedro, quell’altro è don Diego
l’uno è cugin del re, l’altro è fratello;
spaccian del grande e stanno sul sussiego.
È cosa bella vederli in mantello
con saio longo e con calza ristretta,
con poca barba e pontuto cappello.
Oh, bel veder! Oh, foggia benedetta!
Forse ch’ogni italiano non l’approva?
Forse che non la loda e non l’accètta?
Per tutta Italia ormai si disapprova
chi veste all’italiana; ognun s’accosta
a Spagna e ognuno vuol la foggia nuova.