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192 parte terza

di flauto le preclare geste degli antenati, e qualche genere di poesia che doveva essere usato, poichè nelle leggi delle xii tavole si vietava il valersene a danno altrui, e alla costumanza di accompagnare col suono degli strumenti le cirimonie de’ sacrifizii e i solenni conviti de’ magistrati. Ma ognun vede quanto deboli indicii son questi a provare che lo studio della filosofia fiorisse allor tra’ Romani. Anche per ciò che appartiene all’eloquenza, Cicerone confessa che non pargli di aver mai letto in alcuno scrittore che que’ primi consoli di Roma, benchè eloquentemente parlassero, fosser creduti oratori, o che all’eloquenza fosse proposto qualchesiasi premio; ma solo, soggiugne egli, qualche conghiettura mi muove a sospettarlo (De Cl. Orat. n. 14), La qual conghiettura però non è altra se non quella che adducesi anche dall’ab. le Moine, cioè che leggiamo esservi stati uomini possenti nel favellare, i quali in diverse occasioni seppero persuadere all’esercito, al popolo, a’ magistrati qualunque cosa lor piacque. Conghiettura, la qual proverebbe che studio di eloquenza vi ha ancor tra gli artigiani più vili e tra più pezzenti mendici, molti de’ quali si odono non rare volte usare ne’ lor bisogni singolarmente di una vivissima naturale eloquenza. Ma non è questa di cui si cerca quando si parla dello studio dell’eloquenza; ma sì di quella che coll’arte e co’ precetti si forma, come nella parte precedente si è dimostrato (V. sup. par. 2, c. 2). Appena sembrami degna di esser qui confutata l’altra ragione che a provar l’eloquenza tra gli antichi